Era il 1911, anno in cui molti sardi riponevano nell’emigrazione la speranza di una vita migliore. Nel luglio di quell’anno per circa 400 Sardi il sogno svanì sul suolo italico in una tragica realtà di persecuzione e d’orrore.
Circa mille Sardi, quasi tutti minatori del sud Sardegna, furono impiegati per la costruzione della linea Roma-Napoli. Assumere sardi era allora conveniente, poiché lavoravano sodo, in cambio, a parità di mansione, di un salario inferiore a quello di loro colleghi continentali. Quattrocento operai isolani furono, quindi, stanziati temporaneamente nel comune di Itri, all’epoca in provincia di Caserta e oggi di Latina,gli abitanti di Itri, però, fomentati e spalleggiati indirettamente dai mass-media italiani che descrivevano i sardi come una «razza inferiore e delinquente per natura», sollevavano pregiudizi razzisti. A servirsi di questa opinione diffusa e consolidata in una costante tensione sociale fu la camorra che riuscì a trasformare tale convinzione in sentimento di odio e così la furia fanatica razzista si compì tragicamente nei giorni di mercoledì e giovedì 12 e 13 luglio del 1911. Al grido «Morte ai sardegnoli» i nostri antenati furono per questi due giorni le prede indifese della «caccia al sardo».Nel primo giorno un gruppo di operai fu insultato e provocato nella piazza dell’Incoronazione, l’epicentro della storia. Al grido «Fuori i sardegnoli», la parola d’ordine per richiamare gli itrani in quel luogo, a centinaia accorsero armati, attaccando da ogni parte i nostri conterranei inermi. In una ridda di sorpresa, di urla, anche le autorità locali aprivano il fuoco promettendo immunità ai compaesani, non di meno fecero i carabinieri, i quali spararono sui sardi in fuga. Quel giorno, il selciato italico s’impregnò del primo sangue dei martiri trucidati barbaramente. Gli operai scampati alla persecuzione xenofoba si rifugiarono intanto nelle campagne circostanti.L’indomani, i lavoratori rientrarono nel paese per raccogliere i loro fratelli caduti come soldati in guerra, ma la «fratellanza operaia», «la pietà cristiana», si evidenziarono utopiche mete. La seconda giornata di caccia all’«animale sardo» era aperta! Gli itrani, ancora accecati dall’odio razzista si scagliarono nuovamente contro i lavoratori sardi inermi e, con più raziocinio criminale del giorno prima, ancora ammazzarono. In queste due giornate furono massacrate una decina di persone, tutte sarde. Il numero esatto delle vittime non si venne mai a sapere, poiché gli itrani trafugarono numerosi cadaveri e feriti moribondi. Alcuni operai sequestrati subirono la tortura e una sessantina furono i feriti, di cui, diversi, molto gravi, perirono in seguito. Molti sardi scampati alla strage furono arrestati con la falsa accusa di essere rissosi. Mentre, altri, per la stessa accusa, furono espulsi da quella «terra del lavoro» e rispediti in Sardegna. Pagarono caro il prezzo della loro provenienza e cultura.Per questi fatti nessun Itriano fu punito. E il grave avvenimento fu subito occultato.
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